Tradimento Martedì 27: Mualla ha promesso una cura, ma nasconde la verità sulla morte di Behram

La tensione nella villa raggiunge livelli insostenibili. Caraman torna a casa con il volto segnato dalla fatica e dalla sofferenza, stringendo a sé Jan come fosse l’unica ancora di salvezza rimasta. Oilum, pallida e scossa, si aggrappa a lui con tutta la forza che le resta dopo l’incubo vissuto. Quella notte hanno visto l’inferno e per salvarsi Caraman ha fatto qualcosa di impensabile, qualcosa che cambierà per sempre le loro vite. Ma il peggio deve ancora arrivare.

Ad attenderlo nel corridoio c’è Mualla, con uno sguardo gelido e impenetrabile, senza alcuna parola di conforto. Caraman si rende conto che non può nascondere nulla e confessa tutto quello che è successo: la fuga, la violenza, la morte di Vahit. Il silenzio che segue è denso e opprimente, perché certe verità non si possono dimenticare né cancellare.

Nel frattempo, a casa di Guzidè, l’atmosfera è carica di tensione e paura. Oilum racconta con voce tremante l’esperienza terribile vissuta: la pistola puntata alla testa, la sensazione di panico assoluto, il momento in cui ha creduto che tutto fosse finito. Le reazioni sono immediate e forti: Osan perde la testa, Umit è spaventato, Guzidè stessa sembra sul punto di svenire. Nel vortice di emozioni che si crea, emerge un nome che scuote ogni equilibrio e scatena il desiderio di vendetta.

Mualla, invece, è sola nella villa davanti alla bara di Behram. Ogni passo che compie è una battaglia interiore, ogni gesto un addio doloroso. Quando sfiora per l’ultima volta il volto immobile e freddo del figlio, un ricordo doloroso la colpisce con tutta la sua forza: il momento in cui Behram è crollato al suolo nel parcheggio dell’ospedale, sotto i suoi occhi impotenti. Ora Behram è lì, in una bara, e Mualla deve affrontare il più crudele dei compiti: lasciarlo andare. Ma come si seppellisce un figlio? Come si accetta di perdere l’unica cosa che dava senso alla vita? Dentro di lei è un tumulto senza fine.

Dopo la tragedia, l’aria è ancora intrisa di polvere e paura. Vahit giace morto a terra. Caraman, senza voltarsi, corre da Oilum, la stringe forte per assicurarsi che sia ancora viva, poi prende tra le braccia il piccolo Jan. Il suo sguardo è duro, determinato, ma dentro è un turbine di emozioni. Celal lo copre da dietro mentre lui si allontana con i due esseri più importanti della sua vita.

Mualla, nella cucina della villa, sembra congelata nel tempo. Le mani appoggiate al lavello, lo sguardo perso nel vuoto, non piange né si muove. È come se stesse trattenendo dentro di sé un intero mondo per non farlo esplodere. Quando Ilknur la raggiunge, Mualla risponde a bassa voce che Oilum sta tornando con Caraman, ma la sua voce tradisce incredulità e paura. Poi chiede di mettere a bagno i fagioli per il giorno dopo, come se volesse mantenere un minimo di normalità. Ma appena Ilknur le domanda di Behram, Mualla si blocca, si volta di spalle e con voce gelida dice che sta bene, che si è ripreso. Ma il gelo nelle sue parole è un chiaro segnale che qualcosa è irrimediabilmente rotto.

Quando Caraman rientra con Oilum tra le braccia e Jan stretto al petto, Mualla sembra per un attimo sollevata. Ma Caraman non si ferma, la sua espressione è dura, distante. Le dice che parleranno dopo, poi sale le scale con Oilum senza voltarsi. Mualla rimane sola, sommersa dal dolore senza parole né conforto.

Nella camera da letto, Oilum si lascia cadere sul letto, pallida e tremante. È sopravvissuta, ma dentro di lei qualcosa si è spento per sempre. Caraman posa Jan nella culla con una tenerezza infinita, poi, con un sospiro, lascia uscire la paura che ha tenuto nascosta per ore. Ha davvero creduto di morire, e il suo sguardo fisso nel vuoto tradisce una fragilità profonda. Caraman vorrebbe proteggerla da ogni ricordo, da ogni ferita, le promette che non sarà mai più sola e che nessuno le farà più del male. Ma anche lui è profondamente segnato. Sa che devono restare uniti, che sono vivi e devono aggrapparsi a ciò che conta davvero.

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Ma la pace dura poco: quando Caraman apre la porta, Mualla è lì in piedi nel corridoio, con uno sguardo tagliente come una lama. Tra loro è calato un gelo che non ha bisogno di parole. Caraman sa che sta per cominciare qualcosa di ancora più doloroso, qualcosa da cui non si può più tornare indietro.

Mualla lo aspetta nel corridoio, determinata a sapere tutta la verità. Caraman, stanco e segnato da quanto ha vissuto, racconta ogni dettaglio della fuga, della violenza, della morte di Vahit. Il racconto è crudo, diretto, senza scuse né tentativi di addolcire la realtà. È la prima volta che Caraman ha tolto la vita a un uomo, un’esperienza che lo ha cambiato per sempre. Dentro di lui qualcosa si è spezzato, nonostante sappia di aver agito per salvare Oilum e Jan. Mualla tenta di consolarlo, di farlo capire che non aveva scelta, ma Caraman rimane segnato, un uomo segnato dalla giustizia che ora si sente contaminato da un gesto di sangue.

Mualla gli posa una mano sulla spalla in un gesto materno e silenzioso, ma Caraman non ha più parole, solo bisogno di silenzio. Sale lentamente le scale, ogni gradino un peso, e si ferma davanti alla porta socchiusa della camera di Oilum, che dorme ancora, il volto segnato dalla paura ma ora finalmente calma. Caraman la copre con una coperta e le accarezza i capelli con dolcezza, come per scacciare via ogni ombra.

La mattina seguente, la villa è immersa in un silenzio inquietante. Mualla e Celal parlano a bassa voce, consapevoli che ogni parola potrebbe avere conseguenze. Qualcosa deve andare per forza nel verso giusto. L’improvviso arrivo di Caraman, trafelato e teso al telefono per un problema aziendale, interrompe la quiete. Mualla gli comunica con fermezza che deve partire subito, deve tornare nel suo paese. Caraman è incredulo: aveva già delegato tutto a Sado, non vede perché debba andare lui. Ma Mualla è irremovibile: la situazione è peggiorata, c’è di mezzo Vahit, e per lei è sangue del suo sangue. Andrà per Beran, punto e basta. Celal conferma. Caraman capisce che non ha scelta. Senza dire altro esce, mentre Celal e Mualla pianificano di partire appena Caraman sarà lontano.

Nel frattempo, a casa di Guzidè, la colazione è tesa e silenziosa. Oilum, seduta accanto alla madre e a Umit e Osan, parla con voce tremante ma decisa. Racconta quello che ha visto e vissuto dopo aver lasciato la villa, le immagini dell’orrore che le hanno sconvolto la mente. Le parole di Oilum sono taglienti come lame, e i presenti cambiano espressione: Guzid diventa rigida, Ozan abbassa lo sguardo, Umit trattiene il respiro. Nessuno è pronto per quella verità.

Mualla, intanto, è seduta accanto al letto di Beran. L’atmosfera è sospesa nel tempo. L’infermiera è pronta a rimuovere i macchinari, ma prima Mualla telefona a Nazan, mentendo spudoratamente: Beran è stato accettato in una clinica svizzera che riesce a risvegliare i pazienti in coma. È una bugia perfetta, costruita per proteggere chi ama Beran come fosse suo figlio. Nazan prova a opporsi, a farle capire che non c’è più speranza, che i medici hanno dato tutti lo stesso verdetto. Ma Mualla chiude la conversazione con decisione e dà il segnale all’infermiera di cominciare.

Uno a uno, gli aghi, i tubi, i macchinari vengono tolti. Mualla resta seduta, con lo sguardo fisso sul corpo di Behram, che ora è solo un involucro vuoto. Il figlio che amava non c’è più

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