Milano, ore 02:43.
La città dorme sotto un cielo di piombo, trafitto da una pioggia sottile che si insinua tra i vicoli come un ladro. Le strade sono vuote, le finestre buie. Ma non tutti gli occhi sono chiusi. Da qualche parte, nel ventre segreto della città, qualcuno veglia, qualcuno urla.
Un rumore secco spezza il silenzio — breve, violento, come un osso che si spezza. Poi di nuovo la quiete, più pesante di prima. Negli ultimi tre mesi, cinque persone sono scomparse in questo quartiere, tutte senza lasciare traccia. Uomini e donne comuni, cancellati come gesso sotto la pioggia.
Le autorità parlano di coincidenze. Gli abitanti sussurrano di un’ombra che si muove solo dopo mezzanotte. Nessuno osa dire il suo nome.
La telefonata
Tutto comincia con una chiamata anonima. Matteo Rinaldi, 29 anni, giornalista freelance, riceve una voce roca, bassa, quasi spezzata:
“Se vuoi sapere cosa sta succedendo, vieni stanotte, ore tre, ponte di via Ferrante Aporti. Solo. E lascia il telefono a casa.”
Matteo è affamato di storie vere, quelle che fanno saltare le redazioni e scuotono la gente. Sa che rischia, ma sente l’odore della notizia. Prende la macchina fotografica, un taccuino, una penna. E parte.
Milano di notte
La città notturna non assomiglia a se stessa. Le insegne luminose sembrano più fredde, i passi risuonano più forti, ogni finestra chiusa pare nascondere occhi in ascolto.
Matteo arriva sotto il ponte. L’acqua cade dalle travi come lacrime metalliche. Poi, una sagoma. Alta, magra, avvolta in un impermeabile scuro. Cappello basso sugli occhi.
— Sei venuto.
— Chi sei?
Lei non risponde. Allunga una busta di carta. Dentro, sei foto stampate: volti di uomini e donne sedati, legati a sedie, in una stanza dalle pareti di mattoni rossi. Le luci sono basse, ma lo sguardo vuoto delle vittime trapassa l’obiettivo.
— Li tengono qui sotto… nessuno vuole parlare. Chi parla sparisce.
Prima che Matteo possa fare altre domande, passi rapidi dietro di loro. Due uomini vestiti di nero. Lei lo guarda negli occhi e sussurra: “Corri.”
Fuga e vuoto
Matteo corre come se la strada potesse salvarlo. Il fiato brucia, il cuore martella. Si infila in vicoli stretti, inciampa nelle pozzanghere, sente i passi dietro che si avvicinano. Poi, un portone aperto: entra, si nasconde, trattiene il respiro.
Quando finalmente riapre la busta, il sangue gli si gela: le foto sono vuote. Sei fogli bianchi.
Il giorno dopo, il numero della telefonata anonima è non raggiungibile. Matteo racconta tutto al caporedattore. Risata fredda:
— Rinaldi, smetti di guardare troppi film.
La pista dimenticata
Matteo non si arrende. Scava tra vecchi archivi e mappe della città. Scopre che tutti i dispersi avevano lavorato, anche solo per poco, in un magazzino ferroviario abbandonato vicino alla stazione Centrale.
Una vecchia mappa militare rivela un dettaglio inquietante: sotto quell’area c’è un labirinto di tunnel risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, rifugi antiaerei dimenticati, mai mappati del tutto.
Il magazzino
È una notte senza luna quando Matteo si introduce nel magazzino. L’odore di ruggine e muffa è soffocante. Ogni passo fa scricchiolare il pavimento. Un topo attraversa la sua strada.
In fondo, una scala a chiocciola di ferro scende nelle viscere della terra. Matteo accende la torcia e scende. I muri sudano umidità, l’aria è pesante.
Poi, un suono: una porta che si chiude in lontananza. Matteo avanza, trattenendo il respiro.
L’inferno
Trova una porta blindata, sorprendentemente aperta. Oltre, una stanza illuminata da una lampadina tremolante. Cinque sedie. Cinque corpi seduti, legati, con la testa china. Sono i dispersi. Respirano ancora, ma i loro occhi sono vuoti.
Matteo scatta una foto. Un click metallico dietro di lui. Una voce maschile, gelida:
— Cercavi la verità? Ora la verità ha trovato te.
Un colpo alla testa. Buio.
Il tradimento
Quando riapre gli occhi, è legato a una sedia. Di fronte a lui, la donna dell’impermeabile. Ma qualcosa nei suoi occhi è cambiato. Non c’è paura, solo controllo.
— Eri curioso, Matteo. Troppo curioso. Con te, il cerchio si chiude.
L’odore di benzina è forte. La lampadina oscilla, proiettando ombre deformi sulle pareti di mattoni rossi.
Matteo lotta, si rovescia di lato. La macchina fotografica cade e il flash scatta, un lampo accecante. Voci concitate, un rumore di vetro che si rompe. Poi… silenzio.
Fuoco e cenere
Due giorni dopo, un incendio devasta il magazzino ferroviario. La polizia dichiara che non ci sono vittime e attribuisce il tutto a un cortocircuito. Ma le famiglie dei dispersi non ricevono mai un corpo.
Tra le macerie, un vigile del fuoco trova una scheda di memoria semi-fusa. Alcuni file sono illeggibili, altri mostrano immagini disturbanti: sedie vuote, pareti di mattoni rossi, un’ombra che si avvicina all’obiettivo.
Un piccolo quotidiano locale pubblica le foto con il titolo: “La notte nel cuore: la verità bruciata”. Poche ore dopo, il sito viene hackerato e l’articolo sparisce.
L’eco
Oggi, nei pressi della stazione Centrale, nelle notti di pioggia, c’è chi giura di sentire passi veloci nei vicoli e una voce roca che sussurra:
“Corri.”
E Milano, sotto la sua superficie luminosa, continua a nascondere il cuore nero della notte.