In uno degli episodi più esplosivi e sconvolgenti de La Promessa, Leocadia – la grande manipolatrice del palazzo – finisce per scavarsi la fossa con le sue stesse mani. Una sola frase, pronunciata in un momento di rabbia cieca, fa crollare tutto il castello di menzogne che aveva costruito nel corso dei mesi. Questo capitolo, intriso di tensione, rivelazioni e emozioni, segna un punto di svolta irreversibile nella storia della tenuta Luján.
Tutto ha inizio nella biblioteca, uno dei luoghi più simbolici della serie, teatro di segreti, complotti e dolori. Qui, Leocadia e Lorenzo, due cospiratori ormai alle strette, discutono preoccupati su Curro, che continua a scavare nel passato, sempre più vicino a una verità capace di annientarli. Curro sospetta, indaga, e questo li mette nel panico. Lorenzo propone di “eliminarlo”, ma Leocadia – più subdola – preferisce una soluzione elegante: convincere Alonso a mandare Curro in Italia con il pretesto di una missione diplomatica. Un esilio mascherato da opportunità.
Convinta delle sue doti persuasive, Leocadia si reca nello studio di Alonso. Con la solita miscela di mezze verità e finta preoccupazione, insinua che Curro debba essere allontanato per preservare l’onore della famiglia. Ricorda scandali, sussurri tra i servitori, accenna a Eugenia… e infine lascia cadere una parola velenosa: “bastardo”. Con quel termine carico di disprezzo, Leocadia svela le sue vere intenzioni. Per lei, Curro non è altro che un errore vivente, una vergogna da cancellare.
Alonso, schiacciato dalla pressione sociale e familiare, finisce per cedere. Scrive una lettera di raccomandazione al conte di Siena e il giorno dopo chiama Curro per annunciargli la sua partenza. La scena è carica di dolore: Curro capisce subito che non si tratta di un premio, ma di un esilio imposto. “È per me o per la vostra reputazione?”, chiede con voce rotta. Il colpo di grazia arriva quando Lisandro irrompe e umilia pubblicamente Curro, insultandolo e negandogli il diritto di portare il cognome Luján.
Ma Curro, con la sua dignità intatta, risponde con forza. Non accetta l’allontanamento come una punizione, ma come una scelta consapevole: non vuole più vivere in un luogo dominato dalla menzogna. Mentre prepara la valigia, riceve la visita di Ángela, che – sconvolta – gli dichiara il suo amore e gli chiede di portarla con sé. Curro, pur amandola, rifiuta. “Questo non è un viaggio, è un esilio,” le dice. È troppo pericoloso, anche per lei.
Ed è allora che arriva Leocadia. Furiosa nel vedere sua figlia tra le braccia del giovane che disprezza, si scaglia contro di lui. Lo accusa di aver trascinato Ángela nella rovina, di rappresentare l’errore, la vergogna. L’atmosfera è incandescente. E proprio quando la tensione è al massimo, Leocadia si lascia andare a una frase che gela il sangue a tutti i presenti:
“Se quel bastardo fosse caduto meglio da cavallo quel giorno, come avevo previsto, ora tutto questo sarebbe finito.”
Il silenzio che segue è assoluto. Curro è sconvolto. Ángela impallidisce. Leocadia, realizzando l’enormità di ciò che ha detto, tenta goffamente di ritrattare, ma è troppo tardi. La verità è uscita dalla sua stessa bocca. Curro la affronta con fermezza: “Sei stata tu? Hai sabotato la sella?” E Leocadia, messa all’angolo, confessa: sì, voleva spaventarlo, allontanarlo, farlo cadere. Lo ha sempre visto come una minaccia.
Proprio in quel momento, alle sue spalle, appare Alonso. Ha sentito tutto. Lo sguardo è distrutto. “Hai tentato di uccidere mio figlio?” chiede con voce tremante. Leocadia prova a giustificarsi, ma le sue parole non hanno più alcun peso. Alonso si volta verso Curro, gli occhi pieni di dolore e redenzione:
“Tu non andrai da nessuna parte. Resta, figlio mio. Questo palazzo è tuo quanto è mio. E se qualcuno deve andarsene… quella sei tu.”
La giustizia poetica si compie. Leocadia, vittima del suo stesso veleno, viene annientata. Curro, a lungo disprezzato e marginalizzato, viene finalmente riconosciuto come membro legittimo della famiglia. Ángela, che lo ha sempre sostenuto, brilla come simbolo di coraggio e amore autentico. Alonso, finora ambiguo e debole, si riscatta davanti a tutti.
Ognuno compie il proprio destino in questa scena epica:
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Leocadia cade, travolta dalla sua arroganza e dal suo odio.
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Curro emerge come simbolo di verità e integrità.
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Alonso si libera dal passato e sceglie finalmente la giustizia.
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Ángela si conferma l’eroina romantica e risoluta.
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Lisandro e Lorenzo restano le vestigia di un sistema ormai in frantumi.
La Promessa raggiunge uno dei suoi vertici narrativi. Non solo per l’intensità delle emozioni, ma per il potente messaggio morale: la verità, per quanto sepolta, trova sempre il modo di emergere. E quando lo fa, può distruggere tutto ciò che incontra. Ma può anche liberare.
In questo episodio memorabile, La Promessa ci mostra che i segreti non possono restare tali per sempre. E che chi semina odio, prima o poi, raccoglie la sua stessa rovina.