La Promessa: Eugenia Si Sveglia al Tradimento Mortale e la Vendetta Inizia!

Preparatevi a un vero e proprio terremoto emotivo a “La Promessa”! Il battesimo dei gemelli, che avrebbe dovuto essere un evento gioioso, si trasforma nel palcoscenico di rivelazioni sconvolgenti. Gli intricati giochi di potere e le oscure trame, tessute con una precisione chirurgica, vengono crudelmente alla luce, rivelando una trappola mortale che minacciava di inghiottire una delle figure centrali del palazzo. Questa valanga di verità scatena una vendetta implacabile che cambierà per sempre il destino dei Luján, lasciando gli spettatori senza fiato.


L’Oscuro Rituale: Lorenzo e il Massaggio Avvelenato

Tutto ha inizio nella penombra dell’alcova di Donna Eugenia. Una figura si muove con la precisione silenziosa di un predatore: è Lorenzo, il capitano de la Mata, inginocchiato al capezzale di sua cognata. Le sue mani, abituate alla brutalità della guerra, ora si sforzano di eseguire un massaggio delicato, quasi una carezza velenosa, sulle tempie di Eugenia. La donna, o almeno così appare, è immersa in un sonno profondo, indotto non solo dalla stanchezza, ma da una serie di subdoli intrighi volti a condurla alla follia. Il suo viso, un tempo vibrante, è ora pallido come il marmo, riflesso di confusione e un torpore quasi letale.

Gli occhi di Eugenia, semi-chiusi e velati, sono incapaci di discernere la minaccia imminente. Le sue dita si contraggono sulle lenzuola e dalle sue labbra sfuggono mormorii sconnessi, come se la sua mente fosse intrappolata in un labirinto nebbioso, un limbo tra la poca lucidità rimastale e la demenza a cui la stanno spingendo. Lorenzo lavora con un ritmo lento e metodico, i suoi movimenti calcolati per non interrompere il sonno indotto. Ma il nervosismo lo consuma, e ogni secondo gli sembra un’eternità. Se Eugenia dovesse svegliarsi, se quegli occhi si aprissero d’un tratto, accusatori, il piano di Leocadia sarebbe rovinato.

Dopo aver terminato il massaggio, Lorenzo si alza con esasperante lentezza, trattenendo il respiro. Assicurandosi che Eugenia non reagisca, esala con discrezione e, come un fantasma, esce dalla stanza. I suoi passi veloci lo conducono agli appartamenti di Donna Cruz Burdina, la temibile e ambiziosa Leocadia.

La Congiura di Leocadia: L’Ultimo Colpo alla Ragione di Eugenia

Leocadia attende Lorenzo come un ragno al centro della sua tela. Vestita in seta leggera, siede davanti a un vecchio specchio, spazzolandosi i lunghi capelli scuri con una lentezza teatrale, ogni gesto una posa studiata di potere e femminilità.

“Ho fatto,” annuncia Lorenzo, la voce spezzata dalla corsa e dalla tensione. “Era la penultima parte. L’ho massaggiata con l’olio che mi hai dato. Come hai ordinato, non ha aperto gli occhi, sembrava assente.” Leocadia sorride, un sorriso che non illumina ma anzi, accentua i tratti affilati del suo viso e il bagliore gelido nei suoi occhi. È il sorriso di un carnefice soddisfatto. “Molto bene, Lorenzo. Meglio di quanto mi aspettassi. Chi l’avrebbe detto? Quel timorato marito di Eugenia. Quell’uomo che viveva all’ombra di sua moglie, ora il mio più fedele alleato, lo strumento della mia volontà. Il destino ha queste ironie, non credi?”

Lorenzo si acciglia, a disagio con l’elogio avvelenato. “È già debole, Cruz. Sempre più assente, persa in sé stessa. A volte non sa chi sono. I suoi occhi non hanno luce. È davvero necessario continuare? Non siamo andati troppo oltre?”

Leocadia si alza con grazia felina, come se si aspettasse questa esitazione, questa tardiva puntura di coscienza. Si dirige a uno scrittoio e estrae un piccolo barattolo di porcellana finemente lavorato, chiusa da un coperchio dorato. Lo porge a Lorenzo con ferma decisione. “Manca solo una parte, Lorenzo. La stoccata finale.” La sua voce è un ghiacciolo. “Questa crema deve essere applicata sul suo viso prima che si addormenti stanotte. Solo uno strato sottile. Agirà direttamente sui pochi sensi che ancora le rimangono ancorati alla realtà. La renderà più instabile, imprevedibile. La sommergerà in terrori notturni e allucinazioni diurne. La avvicinerà in modo irreversibile al collasso totale.”

Lorenzo indietreggia istintivamente, prendendo il barattolo con mani tremanti. “Mi avevi promesso che bastava disorientarla, minare la sua fiducia! Che l’olio e i sussurri notturni sarebbero stati sufficienti! E ora vuoi che faccia questo? È mia moglie, Leocadia, la madre dei miei figli, anche se lei non lo ricorda!” La voce del capitano è un lamento soffocato.

“Era tua moglie,” ribatte Leocadia con freddezza glaciale. “Oggi Eugenia è un intralcio, Lorenzo, un rischio per i nostri piani. Un pezzo che non si adatta più alla scacchiera che stiamo costruendo. E al battesimo dei bambini di Catalina, quell’evento atteso con gioia, sarà il suo gran finale. Di fronte a tutti, di fronte alla società che tanto la rispettava, dimostrerà di aver perso la ragione, di essere un pericolo per sé stessa e per gli altri, specialmente per quei bambini innocenti. Sarà portata immediatamente al sanatorio e questa volta, caro, sarà per sempre, senza possibilità di ritorno.”

Lorenzo abbassa il capo, la gola stretta da un nodo. “Stai andando troppo oltre, Cruz. Questo è mostruoso, persino per te.”

Leocadia si avvicina, la sua presenza imponente. Con un guanto di pizzo nero accarezza la guancia ruvida di Lorenzo, un gesto che sembra intimo ma si sente come la carezza di un serpente. “Tu sei già andato troppo oltre, Lorenzo. O forse hai dimenticato la tua parte in questo gioco? Chi ha nascosto i registri medici che provavano la lucidità iniziale di Eugenia? Chi ha coperto il cambio dei suoi medicinali, sostituendoli con placebo inutili o peggio, con sostanze che le annebbiavano il giudizio? Chi ha distrutto l’ultima lettera disperata che Eugenia ha scritto al marchese? Tu, Lorenzo, tu l’hai fatto. E ora vuoi fare l’innocente? Svegliati, non c’è più ritorno per nessuno dei due. Siamo insieme in questo fino alla fine.”

Il silenzio che segue è denso, carico di colpe condivise. Leocadia riprende il barattolo, apre il coperchio dorato e passa un dito guantato sulla crema bianca, dal profumo ingannevolmente dolciastro. “Guarda quanto è morbida. Sembra un semplice balsamo innocuo, vero? Ma è un capolavoro del nostro vecchio amico, il farmacista di Madrid, un genio delle ombre. Un tocco di questo sul suo viso e in pochi giorni, Eugenia non riuscirà a distinguere un abbraccio da un attacco, una parola di conforto da una minaccia. Il suo mondo diventerà un incubo tangibile.”

Lorenzo chiude gli occhi, un’immagine fugace di Eugenia giovane e sorridente gli attraversa la mente. “Sì, se perde il controllo prima del battesimo, cosa succederà?” chiede, la voce appena un filo, cercando una fessura di speranza.

“Ancora meglio,” risponde Leocadia, i suoi occhi brillanti. “Se avrà un episodio pubblico prima, un piccolo scandalo, nessuno dubiterà della necessità di internarla. Ma l’ideale, Lorenzo, il colpo maestro, è che accada in pubblico durante il battesimo. Immagina la scena. Tutti gli occhi puntati su di lei. Quando, nel suo delirio, tenterà di avvicinarsi ai bambini, magari con qualche intenzione strana o violenta, e Catalina, la madre, dovrà allontanarla con paura e orrore. Sarà la prova inconfutabile della sua follia di fronte a tutta l’alta società. La sua caduta sarà spettacolare.”

Lorenzo guarda di nuovo il barattolo, ora simbolo della sua condanna. Poi alza lo sguardo verso Leocadia, cercando nei suoi occhi freddi un segno della donna che credeva di amare. “E dopo che Eugenia sarà fuori dai piedi, tu sarai libero e io anche. Nessuno metterà in discussione la tua fedeltà al mio fianco. Sarai la nuova signora del palazzo al mio fianco e insieme, elimineremo uno per uno coloro che ancora ci intralciano nella nostra ascesa.”

Leocadia sorride, un sorriso di pura sufficienza. “Esatto, Lorenzo. Saremo i padroni de ‘La Promesa’, indiscussi. E tu, mio caro capitano, avrai il potere e il rispetto che hai sempre anelato e che Eugenia ti ha negato. Ma prima, fai la tua parte. Senza errori.”

Lorenzo non risponde. Il silenzio è la sua amara accettazione. Con mani ancora tremanti, ripone il barattolo nella tasca interna del cappotto. Lasciando la stanza di Leocadia, percorre i corridoi con passi pesanti, come un uomo diviso, un’anima in lotta tra gli ultimi frammenti della sua umanità e l’insaziabile sete di potere e riconoscimento che Leocadia ha saputo coltivare.

L’Inattesa Resa dei Conti: Eugenia Rovescia la Scacchiera

Dall’altra parte del palazzo, nel suo letto d’angoscia, Eugenia si muove leggermente, un gemito quasi inudibile le sfugge dalle labbra. Come se un istinto primordiale, una profonda connessione con il pericolo imminente, la allertasse in sogno della nuova minaccia che incombeva su di lei.

Lorenzo torna agli appartamenti di Eugenia con passi duri, quasi trascinati, come se ogni metro fosse un peso aggiuntivo sulla sua schiena curva. Il barattolo di porcellana sembra bruciare contro il suo petto, un costante promemoria del suo tradimento, intriso della colpa che lo consuma. Il silenzio del corridoio è sepolcrale, interrotto solo dal tintinnio lontano di una persiana che il vento sbatte nel cortile, facendo tremare i vetri. Le torce nei lunghi e cupi corridoi del palazzo sembrano più deboli del solito, le loro fiamme vacillanti, come se anche la luce temesse di essere testimone di ciò che sta per accadere.

Spingendo la pesante porta di quercia dell’alcova, Lorenzo entra lentamente, trattenendo il respiro. Il lieve scricchiolio delle cerniere, nonostante i suoi sforzi per essere silenzioso, risuona nella quiete, quasi accusatorio. Ma Eugenia non si muove. È sdraiata, apparentemente immersa nello stesso sonno profondo di prima. Tuttavia, qualcosa nell’aria lo mette subito a disagio. Una sottile alterazione che i suoi sensi, acuiti dalla tensione, captano all’istante. La sua posizione nel letto è diversa da come l’aveva lasciata. Il suo corpo è girato, di spalle alla porta, coperta fino alle spalle, il braccio destro riposa stranamente sul ventre, quasi protettivo. Un movimento naturale del sonno o qualcosa di più? Lorenzo socchiude gli occhi, l’intrigo si mescola a una crescente apprensione.

Si avvicina in silenzio, il cuore che gli batte all’impazzata, ogni passo sul morbido tappeto accompagnato da un turbinio di pensieri. Si sarà svegliata durante la sua assenza? Avrà sentito qualcosa? O è solo un cambio involontario di postura? L’incertezza è una tortura.

Fermandosi accanto al letto, a pochi centimetri dal corpo immobile di sua moglie, apre lentamente il cappotto ed estrae il piccolo barattolo di porcellana. Le sue dita, goffe e fredde, tremano visibilmente mentre tenta di svitare il coperchio dorato. L’odore dolciastro e penetrante della crema, ora liberato, impregna l’aria viziata della stanza. Con esso, il peso schiacciante di tutto ciò che ha già fatto, della rete di menzogne e crudeltà in cui si è impigliato, si abbatte su di lui.

“Perdonami, Eugenia,” mormora a bassa voce, un pensiero sussurrato, una preghiera inutile a una coscienza quasi morta. “Non ho più scelta, credimi che non ce l’ho. Se non lo faccio, lei… lei distruggerà anche me. E forse i nostri figli, se si frappongono. Io volevo solo… volevo solo un po’ di pace, un posto nel mondo.”

Si china sul corpo della moglie, che crede addormentata e vulnerabile. Il bagliore opaco dell’unica candela sul comodino si riflette sulla superficie lucida della crema bianca e la punta delle sue dita sfiora la sostanza fredda e untuosa. Sta per, con un solo movimento, portare il veleno sul viso sereno di lei, per sigillare il suo destino.

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Ma poi accade qualcosa, qualcosa che distrugge i suoi piani e gli gela il sangue nelle vene. Con un movimento brusco ma sorprendentemente controllato, Eugenia apre gli occhi. E non sono gli occhi velati e confusi che Lorenzo ha visto nelle ultime settimane. Sono occhi più svegli, più lucidi di quanto lui avesse potuto immaginare, fermi, chiari, terribilmente presenti. La sua mano sinistra, quella che riposava sul ventre, scatta da sotto la coperta e con una forza sorprendente, una forza nata dalla disperazione e da una volontà di ferro a lungo nascosta, afferra il polso di Lorenzo con una presa d’acciaio proprio prima che riuscisse a toccarle il viso con la crema.

“No, non mi farai del male un’altra volta, Lorenzo,” dice lei. La sua voce è ancora debole, ma vibra con una certezza incrollabile, con la risoluzione di chi ha toccato il fondo e ha deciso di lottare. Lorenzo rimane paralizzato, pietrificato. Il piccolo flacone di porcellana gli sfugge dalle dita inerti, cadendo con un tonfo sordo sulla trapunta di seta ricamata, macchiando di bianco il ricco tessuto come una metafora della purezza macchiata. Il suo volto, normalmente coriaceo, perde ogni colore, diventando di una pallidezza cinerea. L’aria sembra farsi densa, irrespirabile. “Eugenia, tu… tu eri sveglia? Impossibile. Ti ho vista dormire.”

Lei non risponde subito. Continua a guardarlo fisso negli occhi. Quegli occhi che un tempo la guardavano con amore, e che ora riflettono solo tradimento e codardia. La sua respirazione è affannosa, ma il suo sguardo è fermo. Un piccolo e trionfale accenno di sorriso si disegna sulle sue labbra. “Credevi davvero che fossi così ingenua, Lorenzo, così facile da distruggere?” La sua voce guadagna un po’ più di forza. “Credevi che non me ne sarei accorta? Che non avrei notato l’odore strano di quegli oli con cui mi massaggiavi ogni notte? Le mani goffe che non erano quelle di una cameriera preoccupata, i sussurri nell’oscurità, quelle parole seminate come veleno nelle notti in cui tentavo disperatamente di dormire cercando un barlume di pace. Tu, tu mi hai sabotato, Lorenzo. Mi hai spento poco a poco, giorno dopo giorno. Mi hai tradito nel modo più vile e codardo. Ma hai sottovalutato qualcosa: la mia volontà di vivere e la mia capacità di osservare, anche dalla nebbia.”

Lorenzo tenta di divincolarsi, ma lei stringe ancora di più il suo polso, le unghie che si conficcano leggermente nella sua pelle. La forza che emana da quella donna apparentemente fragile lo lascia sbalordito. Il cacciatore è diventato la preda. “Lasciami, Eugenia. Stai delirando. Quella crema è solo un balsamo.”

“Un balsamo, Lorenzo?” Una risata amara le sfugge dalle labbra. “Un balsamo che odora di tradimento e che stavi per applicarmi mentre dormivo. Ho ascoltato le tue conversazioni con Leocadia. Ho visto come ti muovi per questa casa come un’ombra colpevole. Ho unito i pezzi uno a uno nei miei scarsi momenti di lucidità. E questa notte sapevo che saresti venuto a finire la tua opera, ma ti sei sbagliato. Non sono più sola in questo.

In quell’istante, la porta dell’alcova si spalanca e la figura imponente di Pía Adarre, la governante, appare sulla soglia, affiancata da due Guardie Civili con espressione severa. Dietro di loro, con uno sguardo che mescola preoccupazione e determinazione, c’è Curro, il giovane che tanto vuole bene a Eugenia.

“Sembra che abbiamo un problema qui, capitano,” dice Pía, la sua voce ferma e chiara, senza il minimo accenno di dubbio. Lorenzo guarda da Eugenia a Pía e poi alle guardie. Il suo volto è la vivida immagine della sconfitta. La trappola non era per Eugenia, la trappola era per lui. Eugenia, con un’intelligenza e una pazienza insospettate, aveva tessuto la sua propria rete, aspettando il momento giusto per smascherare il suo carnefice. E quel momento finalmente è arrivato. La promessa di vendetta comincia a compiersi.

Manuel Scopre il Sabotaggio e La Vendetta Inizia al Banchetto

Mentre la notizia del tentato omicidio di Lorenzo e della sua cattura comincia a sussurrarsi per i corridoi de “La Promessa” come una polveriera, seminando il panico tra alcuni e una cupa soddisfazione tra altri, Leocadia, ignara della tempesta scatenatasi nell’ala ovest del palazzo, prosegue con i suoi propri e intricati piani. Il piano contro Eugenia è già in atto, o almeno così crede lei, ma ora è il momento di attaccare su un altro fronte, di assicurarsi un’altra pedina sulla sua scacchiera.

Manuel Luján, il sognatore e inventore, è assorto nei suoi ingegni volanti nell’antico salone di lettura. Leocadia lo trova lì, curva con passione su un tavolo ingombro di schizzi di aeroplani, calcoli e libri tecnici. Manuel passa le dita sul contorno di un’elica disegnata a matita, mormorando ipotesi ed equazioni a sé stesso, quando viene interrotto dalla voce soave e dal sorriso studiato di Leocadia.

“Queste sono le tue meravigliose invenzioni, Manuel,” chiede lei, adottando un tono quasi materno. “Perdona l’interruzione, ma sono sempre stata affascinata dal mondo dell’aviazione. Cosa stai creando ora? Raccontami. Sono tutta orecchi.”

Manuel alza lo sguardo, sorpreso. Non è comune vedere Donna Cruz Burdina mostrare un interesse genuino per qualcosa che non riguardi direttamente il suo status o gli intrighi di palazzo. Ma lei, maestra di manipolazione, sa quali corde toccare. Si siede con grazia di fronte a lui. “Sai, Manuel? Avevo un cugino lontano in Portogallo, un’anima avventurosa. Volava in quei fragili apparecchi. Diceva che non c’era libertà maggiore. E vedendo i tuoi disegni così dettagliati, mi sono ricordata di lui. Sono magnifici, davvero. Hai una mente privilegiata.”

Manuel sorride, lusingato. “Grazie, Donna Cruz. Ho studiato un nuovo tipo di elica a passo variabile, qualcosa che potrebbe rendere il volo più stabile. È solo un concetto, ma credo sia brillante.”

“Hai un talento innato, Manuel. Un dono. Lo vedo nella precisione dei tuoi tratti, nell’audacia delle tue idee,” afferma Leocadia con ammirazione. “Il problema, caro ragazzo, è che il talento, senza il supporto adeguato, non vola. Resta sulla carta. Hai bisogno di risorse, di qualcuno che creda in te. E proprio per questo sono qui.”

Manuel si acciglia, confuso. “Che… che intende dire?”

“Intendo dire, Manuel,” Leocadia si china verso di lui, abbassando la voce, “che se accetti, se ti fidi di me, io posso finanziare tutto il tuo progetto. Assolutamente tutto: pezzi, materiali esotici, i migliori meccanici, persino il tuo primo decollo trionfale. Il denaro non sarà un problema. Ti chiedo solo una condizione: che tu vada avanti senza guardarti indietro, che tu non perda un solo secondo del tuo tempo con chi non crede in te, con chi ti sottovaluta o cerca di tagliarti le ali.”

Quelle parole, scelte con cura, colpiscono Manuel come una carezza e uno schiaffo. Ricorda l’indifferenza di suo padre e le prese in giro di Cruz. E ora Leocadia gli offre la chiave per trasformare i suoi sogni in realtà. “Ma perché farebbe questo per me, Donna Cruz? Che interesse può avere?” chiede, la prudenza che lotta contro il desiderio.

Leocadia si alza, si dirige verso la grande finestra che domina i giardini. “Perché vedo in te, Manuel, quello che pochi sono in grado di vedere. Un uomo in anticipo sui tempi, un visionario. E per essere sincera, sono stanca della monotonia di questo palazzo, delle sue meschine intrighe. Voglio investire nel futuro. E tu, Manuel Luján, con i tuoi sogni di volare, tu sei il futuro.”

La frase, detta con precisione chirurgica e convinzione assoluta, ha l’effetto sperato. Manuel si alza di scatto, i suoi occhi che brillano di entusiasmo febbrile. “Se è vero quello che sta dicendo, se crede davvero in me, allora accetto. Accetto il suo aiuto, Donna Cruz. Non sa quanto questo significhi per me.”

Leocadia sorride dolcemente, un sorriso che sembra genuino, ma nel fondo dei suoi occhi scuri, un bagliore di trionfo nascosto tradisce le sue vere e sinistre intenzioni. Un altro filo è aggiunto alla sua intricata ragnatela. Ma la ragnatela di Leocadia non è infallibile. E Manuel, sebbene inizialmente accecato dalla gratitudine, non tarderà a notare i primi indizi che qualcosa non va.

Le promesse di Leocadia si concretizzano con sorprendente rapidità. Pezzi rari e libri tecnici arrivano al palazzo. Viene persino assunto un ingegnere straniero, Monsieur Du Bois. Tuttavia, man mano che l’aereo prende forma nell’hangar improvvisato, l’entusiasmo di Manuel cede il passo a una crescente e indefinibile inquietudine. Durante un test cruciale con il motore appena assemblato, qualcosa non funziona. Un guasto inaspettato, un rumore minaccioso seguito da un silenzio improvviso. Un pezzo essenziale, un componente vitale del sistema di alimentazione, è mal posizionato o, peggio, difettoso.

Manuel pensa a un errore di montaggio, ma un controllo meticoloso dei registri e delle note di Du Bois rivela che il pezzo è stato sostituito discretamente, deliberatamente, con uno diverso dall’originale, di qualità inferiore. Incuriosito, Manuel inizia a indagare per conto suo. Parla con López, il fedele responsabile delle scuderie, e interroga Monsieur Du Bois, notando contraddizioni e un nervosismo insolito.

Fino a quando una sera, mentre sistema l’officina, trova il pezzo originale, quello che lui stesso aveva progettato, nascosto in modo grossolano in un pacco di stracci sporchi sotto il tavolo. E allora, come un fulmine, capisce tutto. La generosità di Leocadia, il suo improvviso interesse per l’aviazione, le facilitazioni, l’ingegnere straniero: tutto si incastra in un puzzle sinistro. “Lei… lei voleva che io cadessi,” mormora Manuel sotto shock. Il pezzo originale, freddo e pesante nella sua mano, è la prova inconfutabile di una traizione inconcepibile. “Voleva che l’aereo fallisse. Voleva la mia morte.”

La rabbia, un’ondata di furia fredda e lucida, comincia a riempirgli il petto. Ricorda le parole dolci e seducenti di Leocadia, il tono materno con cui gli aveva promesso di renderlo un pioniere. Tutto era una menzogna, una farsa elaborata per farlo scomparire, forse anche in modo irreversibile e tragico: un incidente aereo che nessuno avrebbe messo in discussione. In quell’istante, con la chiarezza che conferisce la giusta ira, sa cosa deve fare. Non resterà con le mani in mano. Smaschererà Leocadia, a qualunque costo.

Il Banchetto del Battesimo: La Caduta di Leocadia e Le Ombre del Futuro

La notte del banchetto ufficiale del battesimo dei gemelli di Catalina e Pelayo, figli dei marchesi de Luján, il palazzo de “La Promessa” è in festa, un tripudio di attività e splendore. Gli invitati più illustri circolano per il salone principale, adornato con una profusione di fiori e candelabri che moltiplicano le luci negli specchi dorati.

Leocadia, Donna Cruz Burdina, è più elegante e raggiante che mai, vestita con una creazione parigina all’ultima moda. Riceve gli invitati accanto a un compiaciuto marchese Alonso, salutando alleati e notabili con un’aria di superiorità appena dissimulata, sentendosi già la vera padrona de “La Promesa”. Lorenzo, visibilmente teso e pallido nonostante il trucco che cerca di nascondere le occhiaie, è stato rilasciato su cauzione grazie alle influenze di Leocadia, ma l’ombra dello scandalo incombe su di lui. Cerca di mantenersi sobrio e passare inosservato, bevendo acqua frizzante ed evitando gli sguardi curiosi.

Eugenia, dal canto suo, siede in un luogo strategico ma appartato, tra una Pía vigile e un Curro protettivo. Mantiene lo sguardo fisso, osservando ogni movimento di suo cognato e di Leocadia con una serenità esteriore che cela l’uragano di emozioni e la ferrea determinazione che ribollono nel suo intimo. Ha vinto una battaglia, ma la guerra continua.

Il marchese Alonso, orgoglioso ed emozionato, si alza dal suo posto al tavolo presidenziale, colpendo delicatamente il suo calice per chiedere attenzione. Il mormorio delle conversazioni si spegne gradualmente. Il silenzio si impone nel grande salone. È il momento del discorso di ringraziamento e celebrazione. Ma prima che Alonso possa pronunciare una sola parola, prima che i brindisi inizino, Manuel Luján si alza dal suo posto con una determinazione che sorprende tutti. Il suo giovane viso è serio, i suoi occhi fissi su un punto invisibile al di sopra delle teste dei commensali. Il momento della verità è giunto, e “La Promessa” non sarà mai più la stessa.

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