La giornata che avrebbe dovuto consacrare il trionfo dell’amore e l’inizio di una nuova vita per Catalina si trasforma invece in una tragedia capace di travolgere non solo lei, ma l’intera tenuta dei Luján. Tutto comincia con una lettera, poche righe scritte da Pelayo, il promesso sposo, che diventano come un pugnale capace di trafiggere il cuore della giovane marchesa.
Era mattina, la carrozza già pronta ad accompagnarla alla cappella, gli invitati in attesa, i domestici in fermento. Catalina, ancora avvolta dall’emozione dell’abito bianco, riceve dalle mani di un servo un foglio piegato, sigillato in fretta. Le sue dita tremano mentre spezza la cera. Già il cuore sa che dentro non c’è la promessa d’amore, ma l’annuncio di un addio.
Pelayo scrive parole che bruciano: ammette la paura, l’incapacità di sostenere un legame tanto grande, la mancanza di coraggio di affrontare l’altare. Confessa che il loro amore non basta, che il peso della vita insieme lo soffoca. Catalina legge, riga dopo riga, e sente il respiro spezzarsi in gola. L’uomo che avrebbe dovuto giurarle fedeltà davanti a Dio e al mondo, la lascia così: con un messaggio frettoloso, con un’assenza.
Il foglio le scivola dalle mani, cade al tappeto come un corpo privo di vita. Lei rimane immobile, incapace di piangere. Solo il battito irregolare del cuore le ricorda che è viva. Ma viva per cosa? Per essere umiliata davanti alla famiglia, davanti alla comunità che attendeva il matrimonio come un evento memorabile?
Martina, ignara, entra nella stanza per condurla alla cappella. Trova invece la cugina piegata su se stessa, il volto devastato. Bastano poche parole spezzate, “Non verrà… non c’è più nulla”, per comprendere l’accaduto. Da quel momento, la notizia corre come un incendio nei corridoi della Promessa. I domestici abbassano lo sguardo, incapaci di trovare parole. Lope resta immobile col mestolo in mano, Candela tace per la prima volta. Tutti percepiscono che qualcosa di irreparabile è accaduto.
Alonso, il marchese, riceve l’annuncio da un servo con il volto sconvolto. Stringe i pugni, diviso tra la rabbia e il dolore. Vedere la figlia, orfana di madre da bambina, subire un’umiliazione tanto crudele lo lacera. Non è solo il disonore sociale a bruciarlo, ma la ferita inflitta all’anima della sua “piccola”.
Cruz, al contrario, reagisce con fredda lucidità. Non la commuove la sofferenza di Catalina: per lei conta solo il marchio di scandalo, l’imbarazzo, la reputazione dei Luján. L’abbandono all’altare è una macchia che rischia di compromettere il buon nome della casata.
Intanto, nella stanza impregnata dal profumo dell’abito nuziale, Catalina si lascia cadere sul letto, stringendo un cuscino che avrebbe dovuto accogliere i sogni di una notte d’amore e che ora si inzuppa delle sue lacrime. Martina cerca di consolarla, Curro e Manuel la osservano impotenti, ma la giovane respinge tutti con un gesto disperato. Non vuole nessuno.
Eppure, un nome le sfugge dalle labbra tremanti: Simona. Non il padre, non la matrigna, non i fratelli o le cugine. Ma la cuoca, la donna che l’ha cresciuta come una madre silenziosa. È lei che Catalina desidera accanto.
Chiamata in fretta da un domestico, Simona posa il mestolo, si asciuga le mani e sale le scale. Ogni gradino è un ritorno al passato: rivede la piccola Catalina che cercava carezze e racconti per dormire. Non è la cuoca che entra nella stanza, ma la madre che la ragazza non ha più. Catalina, in abito bianco, la accoglie come un naufrago la riva. Si abbandona tra le sue braccia e finalmente piange, devastata. “Non mi meritava, vero? Nessuno merita di essere lasciato così… con una lettera.” Simona non le dà spiegazioni, ma calore: “Nessuno, Nina mia. Tu meriti amore vero, rispetto, presenza.”
Fuori, nelle sale nobili, esplode il conflitto. Alonso affronta Cruz, accusandola di preoccuparsi solo del prestigio. Lei ribatte che il nome dei Luján è in pericolo, che la figlia respinta rappresenta un peso. Le parole diventano taglienti: Alonso la accusa di non essere mai stata madre per Catalina, Cruz confessa senza veli di non averla mai sentita come figlia.
Lorenzo, come sempre, entra con ironia velenosa. Per lui ogni crisi è un’opportunità. Cinico, parla di Catalina come di una pedina sacrificabile, un ostacolo che può aprire nuove alleanze e matrimoni utili. Alonso, furibondo, lo afferra per il bavero, urlando che quella è sua figlia, non un pezzo da muovere su una scacchiera. Lo respinge con disgusto, ma le parole velenose del capitano lasciano un segno: il dolore di Catalina rischia di diventare strumento per nuovi giochi di potere.
Intanto, chiusa nella stanza, Catalina si aggrappa a Simona. Non vuole occhi indiscreti, non vuole la pietà degli altri, ma solo la voce calda che l’ha consolata da bambina. “Sei venuta?” le chiede. “Non potevo fare altrimenti”, risponde la cuoca stringendola. Lì, tra quelle braccia, la giovane si sente ancora figlia, non la donna tradita.
Il pianto si alterna a silenzi densi. Catalina si sente colpevole, indegna, pensa di non aver amato abbastanza Pelayo. Simona la corregge: la fuga è la paura di lui, non la sua mancanza. “Tu sei forte, degna, non sei spezzata. Le tue lacrime ti renderanno più temprata, non più fragile.”
Le parole della cuoca diventano balsamo. Le ricorda sua madre Carmen, donna forte e dolce, che la amava con tutto il cuore. Catalina, tra i singhiozzi, confessa di sentirne la mancanza ogni giorno. Simona le stringe la mano: “Lei vive in te. Non sei sola.”
La notte cala sul palazzo come un sudario. Alonso vorrebbe correre dalla figlia, ma Simona lo ferma sulla soglia: “Non ha bisogno delle tue parole, marchese, ma del suo silenzio.” Lui comprende, per la prima volta accetta di farsi da parte.
In quelle ore, tra pianti e carezze, Catalina si abbandona a un sonno fragile. Simona veglia su di lei, consapevole che le ferite dell’anima non guariscono in fretta, ma decisa a non lasciarla mai sola. Perché se Cruz complotta e Alonso combatte con l’orgoglio, è lì, tra le mura della camera, che si combatte la vera battaglia: quella di una ragazza che deve imparare a sopravvivere al dolore più devastante, l’abbandono.
Al mattino, quando la luce filtra tra le persiane, l’abito da sposa abbandonato sulla sedia appare come un fantasma. Catalina si sveglia, smarrita. Per un attimo spera che tutto fosse stato un incubo, ma la lettera sul comodino la riporta alla realtà. Pelayo se n’è andato, non ci sarà matrimonio né futuro condiviso.
Eppure, accanto a lei, c’è ancora Simona, addormentata su una poltrona, le mani intrecciate come in preghiera. Nessuno è rimasto al suo fianco, tranne lei. Catalina la osserva con gratitudine, comprendendo che quella donna, più di chiunque altro, è stata la sua vera madre.
“Se non ci fossi stata tu, non so cosa sarebbe di me”, mormora. Simona le accarezza la mano e risponde con dolce fermezza: “Io sarò sempre qui, Nina mia. Non sei sola, non lo sei mai stata.”
Così, mentre il palazzo si prepara a fronteggiare lo scandalo e Cruz già calcola le mosse per salvare il prestigio dei Luján, Catalina muove i primi passi verso una lenta rinascita. Non c’è più Pelayo, non c’è più il sogno di un matrimonio felice, ma tra le braccia di Simona trova la forza per non spegnersi. Una nuova promessa, più autentica e indistruttibile, prende vita: quella di una madre che non la lascerà mai.