Il caldo bagliore della sala da pranzo di La Promesa quella sera mascherava la tempesta che stava per scatenarsi appena fuori dalle sue mura. La famiglia Luján era riunita attorno al tavolo, le posate d’argento scintillavano alla luce tremolante delle candele, le conversazioni fluivano leggere e misurate. Eppure, dietro ogni sorriso cortese, si celava una tensione invisibile—quella sensazione densa e silenziosa che si percepisce prima di un temporale, quando anche il più piccolo rumore sembra amplificarsi.
All’improvviso, la calma si frantumò. La porta si spalancò con un colpo secco e violento, ed entrò il Colonnello Fuentes, l’uniforme impeccabile, la presenza imponente, come se portasse con sé il peso della legge stessa. Ai suoi lati, due guardie civili, fucili ben stretti, volti duri come la pietra. In un istante, l’atmosfera cambiò: quella non era più una cena di famiglia, ma un’aula di tribunale.
Il Marchese Alonso tentò di parlare, la confusione dipinta sul volto, ma lo sguardo gelido di Fuentes lo zittì. Gli occhi del colonnello scrutarono la sala, soffermandosi infine su un unico uomo.
“Capitano Lorenzo de la Mata,” la sua voce tuonò come un fulmine, “lei è in arresto per ordine dell’autorità militare, accusato di omicidio.”
L’aria divenne pesante. I bicchieri tremarono. Un silenzio soffocante calò, come se avesse risucchiato ogni respiro. Lorenzo, di solito imperturbabile, rimase immobile. Il colore gli scomparve dal volto; un lampo di incredulità passò nei suoi occhi prima di lasciare spazio a una furia divorante. Cercò con lo sguardo una spiegazione, un appiglio.
E poi lo vide. Curro.
Fermo, impassibile, con uno sguardo indecifrabile: non solo soddisfazione, non solo dolore, ma un misto di entrambi—un fuoco gelido che ardeva da troppo tempo. La comprensione fu immediata.
“Tu!” gridò Lorenzo, la voce spezzata dall’ira. “Maledetto bastardo… sei stato tu!”
Tentò di avventarsi su di lui, ma le guardie lo immobilizzarono, torcendogli le braccia dietro la schiena. Attorno, la famiglia rimase paralizzata—Martina si coprì la bocca con le mani, la Marchesa impallidì fino quasi a svenire, Alonso balbettava domande a cui nessuno rispondeva. Trascinato via, Lorenzo continuò a inveire, finché le sue parole non furono inghiottite da un silenzio ancora più inquietante di quello iniziale.
Qualche ora prima, in un ufficio spoglio, il Colonnello Fuentes sedeva di fronte a Curro, osservandolo con la cauta pazienza di chi ha visto troppo, ma cerca ancora l’ultimo tassello della verità.
“Porti un peso enorme, muchacho,” disse infine.
Curro inspirò profondamente, sapendo che ciò che stava per dire non avrebbe permesso ritorno. Cominciò parlando di Dolores, sua madre, e della convinzione incrollabile che fosse stato Lorenzo a ucciderla. Poi, con un filo di voce, rivelò un secondo segreto ancora più doloroso—l’omicidio di Hann Expósito.
“L’ho visto minacciarla. Aveva il movente, l’occasione… e la crudeltà,” disse, la voce incrinata.
Il suo racconto era fatto di brandelli di conversazioni origliate dietro porte socchiuse, sguardi carichi di odio, passi notturni nei corridoi vuoti. Nessuna prova materiale, ma parole pesanti come pietre. Fuentes ascoltò senza interrompere, il volto impassibile, ma lo sguardo rivelava che stava ricevendo la conferma di sospetti coltivati da tempo.
“Hai fatto la cosa giusta,” disse infine il colonnello con tono grave. “Anche se ora ti sembra impossibile.”
Quelle parole furono il preludio alla caduta pubblica di Lorenzo.
La vita di Curro era stata forgiata dal tradimento. Scoprire di non essere un Luján di sangue, ma figlio di una domestica, gli aveva distrutto l’identità. Da erede rispettato era stato degradato a semplice servitore, costretto a vivere tra le stesse mura che una volta considerava casa, ma che ora erano una prigione dorata.
In quell’isolamento aveva trovato Hann—prima confidente, poi alleata, infine l’amore che lo teneva ancorato alla vita. Insieme condividevano il sogno di scoprire la verità sulla morte di Dolores. Ma il destino aveva in serbo un colpo crudele: la morte improvvisa di Hann.
La sua perdita fu un fulmine che spezzò l’albero fragile che Curro era diventato. Il giovane ingenuo svanì, lasciando il posto a un uomo freddo e calcolatore, capace di attendere pazientemente il momento perfetto per colpire. L’alleanza con Fuentes nacque da quella sete implacabile di giustizia—o vendetta.
Poi arrivò Ángela. Era la sua antitesi: luce contro ombra, speranza contro cinismo. La loro relazione segreta e proibita gli offriva un barlume di umanità. Ma l’amore si scontrava con la vendetta, costringendolo a chiedersi se un uomo potesse vivere per entrambe.
La decisione di denunciare Lorenzo fu il punto di rottura. Per Hann aveva sacrificato la pace. Per Ángela rischiava il futuro. E mentre vedeva Lorenzo trascinato via, Curro capì che il prezzo della giustizia non lo paga mai solo il colpevole.
Quella stessa notte, nel cortile silenzioso di La Promesa, Curro rimase solo. L’aria era fresca, ma nel petto sentiva un calore strano—un miscuglio di adrenalina, rabbia e… colpa.
Alle sue spalle, la porta si aprì piano. Ángela apparve sulla soglia, gli occhi come un mare in tempesta.
“È vero? Sei stato tu a denunciarlo?” chiese, la voce tremante.
Curro deglutì. Avrebbe voluto mentire, dare la colpa a Fuentes, ma la verità pesava troppo.
“Sì,” sussurrò. “Sono stato io.”
Gli occhi di Ángela si chiusero un istante, come se quelle parole fossero un colpo fisico. Quando li riaprì, le lacrime brillavano.
“Hai pensato a cosa significherà per noi? Lorenzo è parte di questa famiglia. Sai cosa diranno di te… e di me?”
Curro fece un passo verso di lei, ma Ángela indietreggiò, come se avvicinarsi fosse pericoloso.
“Non l’ho fatto per loro,” disse con fermezza. “L’ho fatto per Hann, per mia madre, per quello che lui ha fatto loro. Non potevo restare in silenzio.”
“E io?—sussurrò—Perderai anche me, come hai perso tutti quelli che amavi?”
Quelle parole lo trafissero.
“Non voglio perderti,” disse, quasi supplicando. “Ma se devo scegliere tra il silenzio e la giustizia… non posso.”
Ángela lo fissò a lungo, cercando negli occhi l’uomo che aveva amato, ma trovando solo il vendicatore forgiato dal dolore. Fece un passo indietro.
“Allora hai già scelto,” disse, voltandosi verso l’ombra del corridoio.
Curro la guardò allontanarsi, ogni suo passo come il rintocco di una campana funebre. E per la prima volta da quando aveva deciso di affrontare Lorenzo, provò paura—non di perdere la battaglia, ma di averla vinta al prezzo dell’unica guerra che contava davvero.