Ci hanno provato in tanti, dai sociologi agli esperti di linguaggi televisivi, a carpire i segreti di Un posto al soleUPAS per gli affezionati, la serie più longeva della tv nostrana pensata e realizzata interamente in Italia. Eppure analizzare un fenomeno che, a distanza di quasi 30 anni dalla prima messa in onda – era il 21 ottobre del 1996 e il sole splendeva su palazzo Palladini, vista golfo di Napoli, per la prima volta – ancora incolla al piccolo schermo una media di 2 milioni di spettatori, non è così semplice. Una risposta univoca, insomma, non c’è: Un posto al sole piace, punto. E piace senza il bisogno di farsi troppe domande sul perché.

La daily soap di Rai 3 (così si chiamano i prodotti televisivi che vanno in onda quotidianamente, come Beautiful Il paradiso delle signore) fa impazzire non solo i fan storici, quelli che sono cresciuti con Raffaele, Renato, Niko, Silvia, Michele, Marina – ovvero i personaggi più noti della soap che gravitano all’ombra del palazzo di Posillipo ormai da decenni – ma anche le nuove generazioni, per cui magari è un sottofondo delle cene con i genitori o con i nonni. Su Tik Tok esiste un filone attivissimo di anticipazioni e commento puntate di UPAS, in cui i colpi di scena più eclatanti della serie tengono col fiato sospeso gli spettatori più giovani e fanno venire il batticuore a quelli più navigati come neanche una serie tv turca. Per non parlare del trend della sigla di Un posto al sole, interpretata da Monica Sarnelli e Carlo Famularo, che spopola sul social a periodi alterni e vede gruppi di amici e di parenti cimentarsi con l’ormai celeberrima “coreografia” dei protagonisti principali sulle note di «Un nuovo giorno è qui, anche per noi…».

Un posto al sole, 30 anni di storie all’italiana

Nei quasi 7 mila episodi andati in onda dal 1996 sono cambiate molte cose, anche se rimangono saldi alcuni elementi immediatamente riconoscibili dal pubblico – gli attori Marzio Honorato, Patrizio Rispo, Alberto Rossi, Luisa Amatucci, giusto per citarne alcuni, sono nel cast praticamente dagli inizi – e la volontà autoriale di integrare nel racconto l’attualità degli italiani. Meno la pandemia, quella, per precisa scelta degli sceneggiatori, non è stata mai inserita nello script. Sullo sfondo di una Napoli magnetica e reale (città che sta a Un posto al sole come Manhattan sta a Sex and the city), i protagonisti hanno a che fare con i temi sociali più disparati, dalla mafia alla violenza domestica, in una sovrapposizione quasi perfetta con la quotidianità degli spettatori, che guardano gli abitanti di palazzo Palladini festeggiare il Natale mentre loro stessi stanno affettando il panettone.

Un posto al sole, tutte le curiosità

La soap è nata a metà degli anni Novanta da un’idea di Giovanni Minoli, ai tempi direttore di Rai 3, che ambiva per la sua rete un successo simile a quello di Neighbours, serie australiana che raccontava il fluire degli eventi e gli intrecci tra personaggi di un quartiere come tanti. Il concept di concentrare tutte le dinamiche e le storie in un microcosmo come palazzo Palladini – se ci pensiamo è l’idea vincente alla base di molte sitcom e drama internazionali, da Friends Big Bang Theory – creando inoltre un punto di riferimento fisso per tutti i protagonisti (il bar Vulcano, l’equivalente del Central Perk), ha cominciato a funzionare, dopo anni di ascolti non felici, quando UPAS è passato alla fascia dell’access time. Oggi va in onda alle 20.45 e ha come avversario il temibile Stefano De Martino con Affari tuoi, eppure riesce a mantenere stabile lo share senza particolari patimenti.

La soap inoltre ha lanciato le carriere di attori oggi molto famosi, come Serena Autieri e Serena Rossi, e coinvolto alla regia diversi nomi importanti della nostra cinematografia, da Stefano Sollima a Gabriele Muccino.

Gli archetipi di Un posto al sole: rassicuranti, quasi degli amici

La linea narrativa di Un posto al sole è dinamica, grazie a un team di autori che lavora senza sosta per garantire alla gigantesca macchina produttiva di andare avanti, ma anche incredibilmente confortante. Le trame e i personaggi evolvono rimanendo sostanzialmente sempre uguali. Altri sono cresciuti sotto i nostri occhi, come l’attore Luca Turco che è entrato nel cast nel 1999 quando aveva 9 anni e adesso che ne ha 34 è ancora un pilastro di palazzo Palladini. Questo vuol dire che lo spettatore riesce a ritrovare il filo del plot anche dopo aver mancato la visione di svariate puntate: gli snodi sono archetipici – ci sono triangoli sentimentali, matrimoni mancati, personaggi che rimangono sul letto di morte o gravemente infermi per settimane (come Michele Saviani che recentemente è stato vittima di una sparatoria e rischia di rimanere paralizzato), amori che sfioriscono e altri che nascono, drammi e gioie, gravidanze, lutti – e il cast riflette un ventaglio generazionale ampissimo.

Ci sono sia attori della GenX e della GenZ che portano avanti le sottotrame più snelle e leggere sia rappresentanti di generazioni precedenti: in questo modo tutti gli spettatori si sentono riconosciuti e rappresentati e se non è il cast a fungere da collante ci pensano le storie raccontate a creare empatia con chi guarda. E allora Un posto al sole finirà mai? In questo infinito flusso di intrecci e colpi di scena non c’è spazio per l’epilogo: dopo 30 anni come si fa a dire addio a un così caro amico? La promessa della sigla, d’altronde, parla chiaro: qualunque cosa succeda, avremo sempre un posto al sole in cui rifugiarci.